Mary Timony - The Golden Dove
(when i was young and ugly- raccolta stroncature dal 2001 al 2003, pt.13)
(Matador/Wide, 2002)
Se nell'indie rock si innestano vene cantautorali, strutture di certo progressive rock, melodie arzigogolate e pompose, il rischio di perdersi per strada è dietro l'angolo. Purtroppo si ha la sensazione che Mary Timony (ex Helium) questo rischio lo corra, e di brutto, venendo così impietosamente travolta dalle sue stesse sinistre macchinazioni. The Golden Dove è un disco troppo suonato, troppo pensato e indigesto, a cominciare dal libretto, zeppo di riferimenti medievaleggianti, di capolettera grafici, di uccellini finti sui rami e quant'altro che di più kitsch non si può. Blood Tree è la summa di tutto ciò, ossia un virtuosismo chitarristico arabeggiante che lascia il posto ad un assai più prosaico refrain catchy; lo stesso discorso si può ripetere per l'iniziale Look Ghost In The Eye. Più in generale è tutto quell'alone mistico e posticcio che pervade il disco a lasciare molto perplessi, dal synth e piano del singolo Dr. Cat alla litania di percussioni di 14 Horses.
Mary Timony dopo il suo debut album Mountains ha voluto strafare senza veramente osare e pretenderebbe di accompagnarci in un mondo tutto suo dove le normali regole non vengono applicate, un mondo fatato, etereo, epico, fatto di alberi sanguinanti, poteri magici, fantasmi e stanze bianche. Purtroppo la formula, infarcita di folk psichedelico, non regge per più di due canzoni e, scoperto il giochetto, tutto svanisce come per incantesimo: puf! Questo album non è mai esistito, resettiamo tutto e scordiamoci che dietro quegli orribili synths compaia Mark Linkous (Sparklehorse) come guest musician, oltre che collaboratore alla produzione.