NUMERO 6 - Dovessi mai svegliarmi
Numero 6: il progetto di Michele Bitossi
V2 RECORDS/Edel (2006)
L'interessante progetto dei Numero 6 è di fatto la proiezione di un solista, la copertura, quasi un rassicurante pseudonimo per il vero factotum, che risponde al nome di Michele Bitossi.
Il ragazzo non è certo un esordiente: ha attraversato gli anni '90 alla guida di un gruppo pop rock di breve e poco fortunato impatto sul grande pubblico. Si chiamavano Laghisecchi e ad orecchie attente, quella musica velata di malinconia e dolcezza, oltre che di arrangiamenti eleganti e a tratti vivaci, non era passata inosservata, grazie ad alcuni esempi di scintillante musica pop.
Cambiato ragione sociale ed entrato nel nuovo millennio, il buon Michele ha pensato bene di riordinare le molteplici idee e di farle confluire nei Numero 6, all'inizio qualcosa di simile ad una vera band, tanto che un gruppo di sei elementi (appunto) lo aveva accompagnato nelle registrazioni del debutto. Il singolo “La stabilità”, colpì per la raffinatezza del brano, pop d'autore, tra chitarra non invasiva, struttura armonica non convenzionale, un finale con coda di sax e una voce più a fuoco e sicura di sé. A colpire, inutile girarci attorno, fu soprattutto il testo, fuori dagli schemi, sia per suggestioni che per immagini evocate, oltre che per un uso alquanto personale di rime, assonanze e figure retoriche ardite.
Dopo un discreto successo, almeno in ambito alternativo, arrivò nel 2006 il bis, questa volta l'emanazione quasi totale delle sue idee.
“Dovessi mai svegliarmi” è un affresco minuzioso e assai condensato di pensieri, riflessioni, ricordi d'infanzia, viaggi onirici, esperienze forti, altre più intime descritte con toni minimalisti da Bitossi.
Il tema del viaggio ricorre molto spesso, a volte in senso fisico, altre invece in senso interiore, un viaggio alla ricerca di sé stesso, che contempla analisi dell'uomo e dell'ambiente circostante e le ricche connessioni tra l'una e l'altra sfera.
La musica, seppur interessante e leggermente variata rispetto all'acerbo esordio, grazie all'aggiunta di un utilizzo più capillare dell'elettronica (quella anni'80, per intenderci) sembra complementare ai testi, intensi caleidoscopici letterari.
Più che poesie, sono racconti autobiografici, nei quali l'autore si mette a nudo di fronte a chi lo ascolta.
Molti brani si elevano dal disco, a partire dalla prima traccia, intitolata emblematicamente “Spara se vuoi”, nel quale il disincanto del protagonista viene spezzato dal suo invito autolesionista; “Un finale rocambolesco”, sostenuto da una chitarra che fa molto “new acoustic movement”, mette in fila tutta una serie di resoconti sul suo modus vivendi, fino a decretare il desiderio di vivere non secondo regole precostituite.
Il terzo brano, che fu lanciato meritatamente come singolo è una anti canzone d'amore: “Automatici”, infatti racconta dei dubbi, delle ansie che costringono una persona a consigliare all'amata di lasciarlo, e a quel punto di farlo nel peggiore dei modi. Regna in ogni caso l'ironia e il sarcasmo, armi più efficaci secondo l'autore di rabbia e acredine. Stupendo l'arrangiamento d'archi nel finale che letteralmente lacera il pezzo in due.
La tematica di coppia non è mai preponderante, ma in molti brani fanno capolino frecciate, riferimenti e allusioni ad un ex che non ha lasciato buone traccie dietro di sé, come si evince da un estratto “la mia ragazza ha le sue cose, ma anch'io posso avere le mie”... oppure “ero molto piccolo ma già piuttosto sospettoso e dicono dotato di una buona intelligenza, quindi mi accorgevo al volo se tra noi qualcosa non filava dritto”.
“Stiamo per perderci” al dispetto del poco rassicurante titolo è la canzone più immediata e canticchiabile del disco, grazie all'arrangiamento molto pop, quasi radiofonico.
Altri brani forti risultano “Verso casa”, molto elettronica e la ballata “Da piccolissimi pezzi” col bellissimo incipit “io non faccio poesia, verticalizzo”.
Un disco da riscoprire, un talento fuori dal comune nell'estrarre canzoni emozionanti, in cui il testo è sempre sopra la musica, tanto che apparirebbe interessante anche senza l'ausilio di essa, come un piccolo racconto.
Commenti
Bravo Vanoli, hai proprio colto lo spirito esatto del disco!!
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