Ensemble Uzi – S/T (autoprodotto, 2009)
Non è mai facile parlare di registrazioni di musica improvvisata, specie se così radicale. Quello che si ascolta è la cristallizzazione di un momento difficilmente ripetibile, accordi e (rare) melodie che, tuttalpiù, torneranno utili come canovaccio in occasione delle esibizioni, luogo dove gruppi del genere trovano la loro ragione. Eppure qualche riflessione possono muoverla, specie se, come in questo caso, si tratta di una ripresa live in studio (effettuata nel magnifico scenario di Villa Zamboni), una cosa piuttosto vicina ad un'esibizione dal vivo, insomma.
L'Ensemble Uzi è, così a vederla, un tipico terzetto rock: chitarra, basso, batteria; va da sé che i punti di contatto finiscano qui, mancando ogni traccia di forma canzone, ed essendo gli strumenti usati in maniera non propriamente tradizionale, con la batteria spesso sollevata dall'obbligo di tenere i tempo e il basso che produce suoni insoliti. Un disco ostico, dunque, ma non privo di appigli per chi vorrà dedicarcisi con attenzione. Dei cinque pezzi, tutti senza titolo ma contraddistinti da un simbolo, " * " è quello d'apertura: inizio minimale, quasi jazzato, con battiti che accelerano complicandosi e il basso che lavora in sottofondo. Poi la chitarra inizia a far sentire la propria voce, scaricando accordi discontinui ma che piano piano addensano il suono e riempiono lo spazio. Poi di nuovo minimalismo, per un attimo l'ordine sembra regnare, basso e batteria collaborano, ma ancora la chitarra arriva a rompere gli equilibri e fa terminare il pezzo in un quieto disordine che sa di rassegnazione. " ^ " rasenta l'elettroacustica: suoni che si succedono nel vuoto, ognuno alla ricerca del timbro più adatto; improvvisamente, frequenze ultrasture tagliano l'aria e gli strumenti a corde vengono torturati fino a che un nuovo momento di quiete riporta l'elettroacustica in primo piano. Ma non è finita e un crescendo di batteria conduce tutto verso un noise compatto che pone fine al pezzo. Giusto a metà del disco sono i cinque minuti di " ç ", che si avvicinano ai territori del rock, con la chitarra in primo piano e gli altri strumenti che paiono assecondarla, salvo poi sabotare la cosa e spingere di nuovo il gruppo sul baratro del caos. Proprio questa tensione, questo gioco di forze fra i vari strumenti, è la cifra stilistica del gruppo, che emerge soprattutto dal vivo. E se c'è qualcosa di rock che resta nel corpo degli Uzi è proprio la fisicità quasi primordiale, l'anti-intellettualismo, l'empirismo nel verificare ogni volta, in vivo, quello che può accadere. Ce lo conferma anche "§" che parte, ancora una volta, quasi jazz e poi manda tutto in vacca fra rallentamenti, scontri, frenate improvvise, simile a un rodeo fra mezzi blindati. A chiudere, aggiungendo un nuovo elemento di valutazione è " ° ". Una specie di blues notturno, quasi narrativo, suoni strascicati e inquietanti, batti lenti che si perdono in una notte insonne, presenze rumorose che si fanno via via più concrete per poi appassire, raggiunto l'apice, in un flebile rantolo.
Questo, in modi e forme diverse, è quello che troverete a un loro concerto; ma fate attenzione, pare girino anche dei sassofoni...