Jake Bugg - Hearts that strain (2017)
Label: Virgin
Issued: 2017
Nel perpetrare la sua tricologicamente impeccabile deriva brit-pop, J-B ritiene opportuno mistificare le carte (la mistificazione è la quintessenza del rock per postulato), ciò che accade per la prima volta nella breve (mica tanto: quattro album in sei anni) carriera. Vostro malgrado siete stati temporalmente catapultati sulla west coast del sessantasei. Non è poi così male: ragazze disponibili, erba eccellente e vomito di David Crosby sul pavimento. Difficile trovare il tempo per ascoltare questo disco. Difficile restare concentrati. Ci sono i CSN freschi dell'ennesimo litigio con Y (sentite la introduttiva How soon the dawn), ma anche gli America di Horse with no name, quelli che Scott Young pesava fossero nientemeno che suo figlio and his band (Southern rain), e quel folk orchestrale caro a James Taylor e al Neil Young (finalmente l'ho scritto per intero) di A man needs a maid e Such a woman (ehi, piano coi pomodori). Ma la produzione di Soldino Auerbach non disdegna suggestioni contemporanee, quali il nu-folk Decemberist/ico (la eccellente Hearts that strain), il poppabilly sessantiano (Burn alone) e una specie di calypso così come lo immaginerebbe Paul Simon durante un viaggio in transiberiana (Bigger lover). Per capire lo spleen della copertina del disco digitate semplicemente "meteo Manchester" dentro Google. Se invece, dopo quattro album, siete ancora tentati di paragonare J-Buggatino a Bob Dylan allora scaricatevi due o tre testi. A caso.
Sì però avrei fretta: Every colour in the world / Hearts that strain