Hai visto chi? (Who live a Verona 11/6/2007)
la foto è di simone 'the undertaker'
behind blue eyes, bellissima ballad dei nostri (1971), è anche una cover di successo dei limp bizkit (2003).
Mi chiama il Canna: “Dove cazzo sei?”, chiede.
“A Verona, all’Arena a vedere
un concerto”.
“Che concerto?”
“Gli Who”.
“CHI???”
“Esatto!” gli
faccio, e gli chiudo in faccia.
Ripongo il cellulare. Guardo per aria, qua mi
sa che…
L’arena si riempie lentamente, simile a una pozzanghera umana. Noi, squallide
entità non-numerate, da tempo gremiti, scomodi e festanti; dei ricchi fascisti e
borghesi, di sotto, nemmeno l’ombra. Arriveranno sull’imbrunire, lenti come
lumache, il naso per aria, spocchiosi, adiposi, silenziosi come sfighe, convinti
di essere loro i fan più accaniti. Come dargli torto, dopotutto? Chi c’è sotto
il palco, eh? Io o loro?
Qua davanti un crocchio di ragazzini sui diciotto.
Saltellano sulle note di “Are you gonna be my girl?” dei Jet. Un classico del
rock, per i loro timpani verginelli. Li squadro con una certa sufficienza: ma
che ci fanno qui dentro, oggi, codesti imberbi pischelli? Una biondina strepita
“Io voglio ‘Behind blue eeeeeyes’”. Ecco, appunto.
Cala la sera e si alza
– puntuale – il sipario. E’ il tempo degli hit mid-70 (’I can see for miles’,
‘Who are you?’) ed un paio di pezzi del nuovo album. Nonostante i sessant’anni
suonati il duo Townshend-Daltrey ostenta una forma a dir poco smagliante.
Mi
rimangio tutto, e con piacere: il manipolo di pischelli non si concede tregua.
Conoscono tutti i brani a memoria, saltano, si sbracciano, si sgolano
incessantemente fottendosene bellamente del gerontostrepitio dietro di loro. Un
fricchettone sulla cinquantina con la chioma di Gillan, la barba di Daolio, la
panza di Crosby e la faccia di Alice Cooper sulla maglietta mi scansa e urla
inviperito “SEDETEVI PORCO D**!” Il ragazzino si gira “Seduto a un concerto
degli Who? Ma tu ci sei mai stato, a vedere gli Who?” e riprende a saltare.
Certi fricchettoni sarebbero dovuti morire prima di diventare vecchi,
penso.
Mi sento lentamente pervadere da quel senso di compiutezza che provo –
invero sempre più raramente – quando azzecco il concerto. Sarà un concerto coi
controcazzi, questo, ne sono più che certo. Uno di quei concerti che ti vibrano
dentro per un bel pezzo. Speriamo solo che…
Venti minuti e succede davvero di tutto. Madonna che acqua. Il palco
squassato dal vento, la band che taglia la corda, microfoni che cascano,
friggere di fili, le gradinate come cascatelle, il parterre allagato, annegate,
ANNEGATE BASTARDI FASCISTI!
Madonna che acqua.
I più cercano rifugio
sotto, nei corridoi. Io non faccio in tempo. Rassegnato, immergo il culo nel
ruscelletto che mi scorre tra i piedi e tento invano di accendermi una
sigaretta. I pischelli non smettono di saltare, inneggiare agli Who e
strusciarsi impudicamente contro le loro fidanzatine. Alla mia destra Simone
detto ‘Undertaker’ è la personificazione del silenzio.
“Di’ qualcosa, eh”
dico.
“Trentacinque anni. Dico: trentacinque”.
“Eh, già…” come dargli
torto? Gli Who non suonano in Italia da 35 anni e va’ che macello.
“E
quindi?” incalzo.
“E quindi sarà meglio che taccio. Se apro la bocca mi
escono soltanto cancheri”.
Alla mia sinistra un inglese sui quaranta, calvo, brache corte, maglietta e
camicia di flanella, se ne sta impettito, le mani in tasca, diritto come un
parafulmine, fradicio fino al midollo. Si guarda intorno da alcuni minuti,
svagato, come se su di lui non stesse piovendo affatto. Ad un certo punto si
china verso di me: “Where shall I get a fucking beer?” chiede.
Il suo amico
di Padova va e viene come una pendola imbizzarrita, dice a tutti di essere lì in
moto, *iocàn. Tira bestemmie che pare uno sparapalle da tennis; per ogni saracca
Dio gli risponde con fiamme dal cielo. Mai visto lampi del genere. Sembra
d’essere finiti in un film su Nikola Tesla.
Passano le ore. La band è
nuovamente sul palco, ora ‘Tutto a posto – dicono – possiamo riprendere’. Parte
‘Behind blue eyes’. Neanche a metà canzone Daltrey si ferma, scuote il capo “My
voice has gone, sorry” dice, e se la svigna per la seconda volta.
Sarà forse il contesto, il normale che diventa eroico: diecimila persone zuppe fradicie lì per il tuo medesimo motivo, a prendersi la tua stessa acqua, alla ricerca della tua stessa emozione, tutti a gridare ‘Who! Who! Who! Who!’ all’unisono, bandiere, fischi, inni a Townshend e Daltrey… Oh, guarda, là in fondo il solito gruppo di sardi che sventola i quattro mori… sono dappertutto, malleddettialloro.
Saranno forse questi due sessantenni ricchi sfondati che al loro N-millesimo
concerto tornano fuori per la terza volta e dicono ‘Noi siamo gli Who e
SUONEREMO PER VOI!’
Ad ogni costo.
Anche se piove a secchiate, anche se
ormai è mezzanotte, anche se la voce di Daltrey sembra corteccia grattugiata,
anche se…
…e mantengono la parola. Altroché.
Accordi economici? Penali?
Soldi? Desiderio di rivalsa? O semplicemente volontà di mandare diecimila
persone a casa contente?
O sarà invece che ho compiuto 200 concerti giusto quest’anno, vent’anni di
onorata carriera davanti a palchi di ogni genere e specie col sole che strina,
la gente che spinge, col fango, la merda, la grandine, alle volte davanti, altre
invece là in fondo che non si vede un cazzo di niente, e la coda per uscire dal
parcheggio, e farsi trecento chilometri e domattina fanculo sarò una merda, e
che tutto mi sembra ormai la replica della replica della replica. Eppure sono
ancora qui, lo stesso k-way ormai diventato una tovaglia di macchie, lo zaino
Invicta giallo e blu, la maglietta dei Dire straits senza più forma né colore,
il panino salsiccia e cipolla che va su e giù da tre ore, i polpacci duri come
tralicci… Perché? Semplice: per scrivere un pezzettino di storia. Non quella con
la S maiuscola, naturalmente. Soltanto un piccolo rigo della mia insignificante
storia personale.
E stasera… sì, per causa della pioggia. Ma soprattutto per
merito degli Who.