Patti Smith, 7 luglio 2007
Villafranca di Verona.
C'è posto per tutti sul palco di Patti: da Jimi Hendrix (Are you Experienced) a Bob Dylan (Changing the guard), da George Harrison (Within you without you) a Lou Reed (Perfect day), per passare alla sacrale rievocazione di fantasmi quali Cobain e Morrison o mostri mitologici come i Ramones (Smell like teen spirits, Soul Kicthen, Blitzkrieg bop).
Non a caso nel suo ultimo album, Twelve, con la sua voce passionale e graffiante è riuscita ad appropriarsi di 12 brani storici ed a ripresentarli come solo un grande e navigato musicista può fare: non più cover, non solo quello quantomeno.
Sul palco la sua band di sempre: Lenny Kaye alle chitarre, Jay Dee Daugherty alla batteria (presenti entrambi fin dall'intramontabile Horses, 1975), Tony Shanahan al basso (più recente, con lei da Gone Again, 1996), e come ospite il figlio Jackson Smith alla chitarra.
Non stupisce il fatto che sia stata insignita del titolo di Comandante degli Ordini dell’Arte e delle Lettere dal Ministro della Cultura Francese che l’ha definita una “stimata poetessa laureata in rock’n’roll”, che proprio quest'anno sia entrata a far parte della prestigiosa Rock’n’Roll Hall of Fame, che sia indicata da pubblico e critica come "la sacerdotessa"; il concerto è ammaliante, evocativo (non solo nella riproposizione di colossi contenuti in Horses appartenenti ad una stagione della Smith che in un'interpretazione troppo semplicistica la critica indica come "periodo proto-punk"), polarizzante, mai banale, di classe.
Si presenta sul palco nel suo look minimale, con i lunghi capelli sciolti ingrigiti, di fronte ad un pubblico inizialmente inattivo, eccessive le prime file per le personalità, che forse di musica come di amministrazione sanno ormai troppo poco.
Occorrono le note note di Because the night per sollevare le mummie ed incoraggiare gli squattrinati seduti sull'erba (fino a quel momento quasi ipnotizzati, immersi in quella che qualcuno ha definito un'estasi collettiva) ad assieparsi sotto-palco, a salire su sedie o su spalle, a ballare, a mostrare i sintomi di una presenza ad un concerto.
E Patti Smith, tra uno scaracchio ed un monito contro la guerra, sempre là, in bilico tra una materia soggetta al ticchettio inesorabile dell'orologio ed una sostanza immutabile, senza tempo, indubbiamente rock'n'roll.