PROCOL HARUM Garda (vr) 5 luglio 07
I Procol Harum sono una di quelle band che hanno attraversato la storia della musica senza particolari clamori, ma in maniera onesta e originale. Una band che ha inciso dei veri e propri classici della musica rock anni 60, pur non essendo, a torto, mai entrata nell’ immaginario collettivo delle stelle di questo genere musicale.
Quando mi è stato proposto di assistere al loro concerto, ho accettato in maniera entusiastica immediatamente, e ne è valsa decisamente la pena.
A dispetto delle mie attese, l’ambientazione non si presenta suggestiva come mi aspettavo: di un panorama naturale fantastico come il lago Benaco di Garda non è stato sfruttato nemmeno uno scorcio; ma vabbè, si sa che è la musica che deve far da padrone, e così sarà.
Il gruppo capitanato dall’ inossidabile GARY BROOKER si presenta sul palco in ottima forma e con un’ entusiasmo che i (troppi) turisti tedeschi non possono che invidiare.
I cinque artisti delle
note si dimostrano capaci di intrattenere e divertire tutti gli
ascoltatori, sia i nostalgici, sia i giovani che a malapena li
conoscono, con una miscela esplosiva di rock, blues e influenze
classiche, disegnando bellissime melodie che lasciano il pubblico
estasiato e dando vita ad una performance di altissimo livello, molto
aperta anche alle improvvisazioni strumentali e all’ interazione
con la platea.
Il suono si presenta praticamente perfetto e fa risaltare le coinvolgenti e accattivanti melodie tipiche della musica del gruppo, snocciolate su basi rock molto trascinanti.
La scaletta è molto eterogenea , comprendendo brani di ogni epoca che vanno dal debutto omonimo del 67, fino al lavoro che ha segnato il loro ritorno discografico, the well’s on fire del 2003.
I momenti clou dello show sono senza dubbio l’ esecuzione della magnifica Homburg , accolta da una vera e propria ovazione, e verso il finale la coinvolgente cavalcata rock di Whisky Train, con un fantastico assolo di chitarra di whitehorn, e l’eterea melodia di Salty Dog che affascina tutta l’ audience presente ( dentro e fuori lo spazio delimitato ai paganti ).
Fino ovviamente ad arrivare all’ unico bis della serata: la celeberrima A Winter Shade of Pale, che a trent’anni di distanza dalla sua prima esecuzione ha ancora il fantastico potere di far venire la pelle d’oca a chiunque la ascolti. Per chi non lo sapesse è stata costruita su un’ aria di Bach, ed è stata proposta in italiano dai Dik Dik col nome di Senza Luce, e così è stata acclamata dalla parte nostrana del pubblico presente.
Dunque, un concerto decisamente convincente e coinvolgente, suonato molto bene da artisti senza tempo per nulla affiacchiti dal passare degli anni, così come le canzoni che, a dispetto dell’ epoca d’origine, suonano ancora originali e sono in grado di emozionare nuovi e vecchi fan.