Sigur Ros - Takk...

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Scritto da: Vanoli

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Scrivere dei Sigur Ros comporta in teoria uno sforzo letterario, perchè è un modo di rendere giustizia alle splendide canzoni e atmosfere create dal quartetto guidato dal carismatico e geniale Jonsi.

Già dal loro algido (in tutti i sensi) esordio, il gruppo islandese seppe proporre un sound assolutamente personale, stratificato ed etereo allo stesso tempo.

Lontano dai virtuosismi tecnici e vocali della connazionale più famosa, Bjork, i Sigur Ros rispondevano con la magia e la suggestione dei loro pezzi, tra armonie appena sussurrate e in ogni caso comprensibile (addirittura Jonsi si serviva per comporre di una lingua inventata, ribattezzata "Hopelandic") e suoni ora distorti, ora pieni vestiti da arrangiamenti sospesi, tra elettronica minimale e mai invasiva e archi sognanti e romantici.

Il primo assaggio di successo globale, fuori dai patri  confini, avvenne con l'impronunciabile "Sven n englaar", brano oltretutto corredato da un pluripremiato video, con protagonisti un gruppo di persone affette da sindrome di Down alle prese con una coloratissima scenografia; il tutto ambientato nello splendido paesaggio islandese, un vero spot per l'isola.

Successivamente arrivò la conferma con il famoso album bianco tra parentesi, conosciuto come (), dove ogni brano era contrasegnato invece che di un vero titolo dl numero in scaletta. Ad emergere fu il brano d'apertura, "Untitled n.1", struggente e tristissimo brano sorretto da un magnifico suono di pianoforte. Anche qui fece la sua parte un efficace ed inquietante videoclip, ambientato nello spazio, in quella che non sembrava certo una missione di pace da parte dei protagonisti.

Arriviamo così a questo album, il difficile terzo della serie, il primo per una multinazionale. Takk sin dalle prime note allarga il tiro, i suoni sono molto più a fuoco del precedente, che si manteneva su atmosfere molto delicate e psichedeliche, nell'accezione del gruppo islandese.

Imperioso, da lasciare senza fiato, l'uno-due iniziale, non a caso due futuri fortunati singoli. Dopo l'intro che porta il titolo dell'album, che in islandese significa "grazie", "Glosoli" ci accompagna dolcemente lungo la canzone, dal falsetto rassicurante di Jonsi all'incedere potente delle percussioni che anticipano l'ingresso delle chitarre elettriche, che fanno capolino per gli ultimi due minuti di canzone, creando un feedback di note devastante. Siamo dalle parti del noise, termine mai lontanamente accomunato alla musica del quartetto. "Hoppipolla" invece è una splendida ballata, forse la canzone più efficace, almeno come potenzialità di arrivare al grande pubblico tra quelle edite fino a quel momento. In questo caso la fanno da padrone gli archi, strepitosi, pieni, densi, a conferire calore al brano.

in seguito, il brano successivo sembra quasi continuare la forza implosiva di "Hoppipolla", si percepiscono ancora quelle melodie, con un eco in sottofondo del cantante, che qui sembra quasi un folletto.

"Se lest" invece è una lunga suite psichedelica, caratterizzata da un finale a sorpresa bellissimo, dove troneggia il suono imperioso di un'intera banda, nel contesto di un pezzo tutto melodico, dove la magia è garantita dal suono di carillon e xilofoni vari.

"Saeglopur", uscito come ultimo singolo, è invece decisamente il brano più noir, oscuro del lotto, le chitarre creano un solido muro che invece di proteggere l'ascoltatore, sembrano quasi opprimerlo.

"Milano" e "Gong" confermano le due anime del gruppo: la prima eterea e dilatata, sulla scia di vecchi  brani in repertorio, la seconda intrisa di atmosfere più grintose e solide.

Si giunge così al pezzo più bello del disco, almeno per il sottoscritto: la traccia n.9 "Andvari", cantata in "Hopelandic". E' una canzone dal sapore epico, melodica, romantica, dolce, malinconica, struggente, come se fosse dedicata ad una persona appena salutata, forse per sempre. L'arrangiamento estremamente raffinato degli archi conferisce grande profondità al brano, il cantato di Jonsi è assolutamente spontaneo, ricco di sfumature e sofferto. Il finale è da pelle d'oca, inutile aggiungere altri dettagli. Occorre ascoltare il pezzo per rendersi conto, davvero non ci sono aggettivi per descrivere questa magia.

Dopo una pausa dalla botta emozionale, il finale vede il gruppo impegnato in un altro pezzo dalle atmosfere rarefatte e ricca di spunti interessanti: "Heysatan" è uno dei brani maggiormente apprezzati dai fans, che ne attribuiscono il senso di protezione e di raccoglimento.

Nel corso della loro carriera i Sigur Ros riuscirono a non sedersi sugli allori, confermando le loro immense doti. Il disco ebbe successo di qua e di là dell'Oceano, il gruppo anche in Italia divenne molto più di un fenomeno di culto, assurgendo quasi a "nuovi Radiohead", per la capacità di creare atmosfere sognanti e uniche.

Nell'ultimo disco, uscito l'anno scorso i Sigur Ros hanno colpito nuovamente nel segno con un singolo tutto basato sul ritmo delle percussioni, dai sapori afro. Anche qui grande merito al video, che rappresenta la libertà, giovani uomini e donne che imperversano in un bosco magico, sfoderando un nudo integrale che non risulta assolutamente volgare.

Finchè ci saranno gruppi come i Sigur Ros, la musica non smetterà mai di stupirci e di emozionarci.