Sade Mangiaracina - Madiba

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Scritto da: Vanoli

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madiba sadeTǔk Music 2021

 

 

 

Per l’ultima puntata della rubrica dedicata alla musica alternativa italiana (anche se anticipo che pubblicherò un’appendice con altri cinque album assolutamente meritevoli di ascolto) sono stato combattuto se dedicare il pezzo a rappresentanti di musica classica oppure ad altri di area jazz.

Entrambi sono territori musicali per me ricchissimi di fascino (oltre che di storia) nei quali amo rifugiarmi e farmi assorbire pian piano nota dopo nota.

In soccorso a questo mio dubbio mi è venuta però l’artista di cui alla fine andrò a parlarvi, vale a dire la talentuosa pianista e compositrice siciliana (di Castelvetrano nel trapanese) Sade Mangiaracina che con il suo trio aveva brillantemente esordito quattro anni fa con l’album “Le mie donne”, un progetto dedicato a significative figure femminili, mostrando già uno stile personale e peculiare.

Il perché è presto detto: lei riesce a incarnare entrambi i due mondi, unendo una formazione classica a un approccio jazz, intessendo inoltre il tutto di sapori mediterranei i cui echi si sentono in lontananza ma sono comunque presenti.

Da allora non l’ho persa di vista, anche perché dopo essersi fatta notare e preso le sue soddisfazioni aprendo concerti di autentiche star come Dionne Warwick e suonando in tour con Simona Molinari, la Nostra si stava sempre facendo più strada a livello discografico dopo la pubblicazione del più recente “Madiba” dedicato a Nelson Mandela, uno degli uomini simbolo del Novecento.

Ancora con i fidati Marco Bardoscia al contrabbasso e Gianluca Brugnano alla batteria (oltre al valente ospite Ziad Trabelsi, impegnato col suo magnifico oud in alcuni brani), la Mangiaracina si e inoltrata nuovamente nella composizione di quello che non è sbagliato definire un concept-album in quanto ogni traccia che compone il disco (otto in totale, tutte autografe) è relativa alla vita del grande politico sudafricano.

Si può a ben ragione affermare che, con la sola forza di un sound eclettico e in grado quasi di parlarci, quella messa in scena sia una biografia musicata, in grado di esprimersi appieno con la sola forza espressiva delle note.

Dietro il lavoro, come ulteriore garanzia di qualità, c’è nuovamente la Tuk Music, label indipendente fondata da Paolo Fresu che dimostra una volta di più di voler scommettere sulle qualità della pianista, indiscutibilmente tra i nomi più promettenti del panorama nazionale.

La partenza di “Madiba” è affidata alla traccia eponima, ricca di pathos e sostanza, con una musica dall’andamento dolce e sognante in pieno equilibrio tra istanze classiche e bagliori jazzati. Caratteristico è il contrabbasso di Bardoscia suonato con l’archetto a conferire la giusta dose di solennità a un brano di per se profondo nella sua essenza, nel cui finale si avverte la voce campionata del leader sudafricano.

 

 

Si prosegue con la più dinamica e impetuosa “Winnie” dedicata all’ex moglie di Mandela, dagli umori cangianti e imprevedibili, mentre la successiva “Letter from a prison, pt.1” è intrisa di autentico struggimento e, come esemplifica il titolo, rievoca la triste e saliente vicenda dell’apartheid, con Madiba che fu costretto a subire 27 anni di carcere, senza mai smettere di lottare per i diritti di uguaglianza.

Di tutt’altro tenore appare “Destroying Pass Book” che mette in evidenza le straordinarie capacità compositive e musicali di Sade Mangiaracina, tra intrecci di strumenti, cambi di registro e atmosfere, e una pluralità di ritmi a emergere dalla superficie sempre ben calibrati dalla batteria di Brugnano.

La seconda parte dell’album si apre con la suggestiva “We Have A Dream” che crea un parallelismo tra il protagonista del concept e un altro grande esponente dei diritti sociali, Martin Luther King, il cui famoso incipit di uno storico discorso alla Nazione viene parafrasato nel titolo.
È qui che interviene per la prima volta nel disco l’artista tunisino Trabelsi a infondere quel gusto mediterraneo innestandolo su un afflato policromo fatto di venature jazz e richiami classici.

“27 Years” è a detta di chi scrive uno degli episodi più interessanti e intriganti, in cui la Mangiaracina lasciando per un attimo l’amato pianoforte per impossessarsi con maestria di un funambolico Fender Rhodes inanella una prova maiuscola, ricca di frenetiche e vivaci sfumature, dettate dal convincente connubio della strumentazione classica e l’oud arabo.

“Letter from a prison, pt. 2” riprende le trame della traccia gemella accentuandone un lato melodico, con tonalità più ariose e meno opprimenti, cullandoci fino a condurci alla conclusiva “Forgiveness” densa di rimandi e malinconici tratti di fine estate, in cui compare ancora il tocco di Trabelsi. Un degnissimo epilogo di una storia avvincente che non deve assolutamente essere dimenticata.

Sade Mangiaracina è riuscita a omaggiare la statura morale e umana di Nelson Mandela con un lavoro di gran spessore, ricco di estro e raffinatezza, in grado di veicolare una vasta gamma di emozioni e di suscitare sensazioni forti.

 

 

Il suo è un talento cristallino che sta sbocciando definitivamente trovando una forma sempre più originale: ulteriore prova ne è la magnifica “Jerusalem”, sua ultima opera inedita pubblicata questa estate, che colpisce ad ogni ascolto finanche a commuovere.

E’ un brano in cui la commistione di elementi spirituali e terreni, antichi e moderni insieme, in una dualità intrinseca di istanze primordiali, trova la sua espressione più autentica tra le pieghe di un’anima candida come se ne trovano poche al giorno d’oggi.