ChiaraBlue - Indifesi

Postato in Yasta la Vista

Scritto da: Vanoli

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chiarablue indifesiAutoprotto/iMusician, 2021

 

 

 

La prima volta che mi misi all’ascolto di “Indifesi”, album di debutto della cantautrice Chiara Mariantoni (alias ChiaraBlue), è stato come respirare della buona aria fresca a pieni polmoni.

E’ tutto così accogliente, brillante e piacevole in queste dieci tracce, dove la canzone d’autore si coniuga al meglio con le inclinazioni jazz, world e classiche, capisaldi musicali sui quali si è innestata un’esperienza artistica che sta conducendo la Nostra verso traguardi meritati, approdi naturali se consideriamo il suo valore e il suo indubbio talento.

 

Credit foto: Karel Losenicky

D’altronde ChiaraBlue sta bruciando le tappe, e prima di esordire ufficialmente sulla lunga distanza, aveva già inanellato delle valide prestazioni professionali, su tutte l’essere arrivata finalista al prestigioso Premio Bianca D’Aponte: si era nel 2019 e l’anno dopo avrebbe concesso il bis, giungendo in finale al Premio Bindi.

Certificati di qualità, cui sono succeduti poi attestati di stima da parte dei colleghi, collaborazioni fruttifere, ancorchè formative, in vari ambiti ma, si sa, la prova del nove, quando tanto si è seminato bene, è ancora rappresentato dall’uscita di un album a proprio nome.

E qui Chiara è riuscita a sfoderare il meglio di se’, declinando in questi suggestivi affreschi musicali molto del suo mondo interiore e del suo modo di intendere l’arte, lontana anni luce dalle mode passeggere e dall’hype mediatico che mai come negli ultimi anni tocca in sorte a personaggi, se non proprio discutibili, quanto meno poco interessanti, al cospetto invece di artisti veri, con la A maiuscola, come sono lei e altri che sto passando in rassegna in questa rubrica dedicata alla canzone d’autore italiana, che resiste eccome!

Mettetevi all’ascolto di questo disco e ne rimarrete stupiti, perchè l’eleganza e l’innata classe di cui sono connotate tutte le canzoni, scelte a coronare questa “prima volta”, sono merce ormai rara, e per questo assumono ancora più luce e significato.

Suoni mediterranei, echi di bossa nova, la grande tradizione italiana: ci sono tutti gli elementi per sorprendere e meravigliare, ogni ingrediente infatti è qui amalgamato in maniera pressoché perfetta.

La traccia d’apertura è ben esemplificativa del mood generale che contorna l’intera opera: “Alla fine non c’è” è un brano d’altri tempi, o meglio, senza tempo.

Interpretato con grazia sopraffina, si affida a parole amare e duramente consapevoli, tradotte però in languori soffusi più che offuscati dal rumore e dalla disperazione. Versi come “Ogni volta che/Chiudi la porta sul nostro passato/Ti dovrei fermare/Per farti restare/Ma te ne vuoi andare/Perché alla fine non c’è/Non c’è neanche un posto dove immaginare/Una vita normale” non possono proprio lasciare indifferenti, colpiscono forte nel profondo ma sono accompagnati da una meravigliosa musica, imperniata sulla magnifica chitarra di Matteo Iarlori, che tiene in equilibrio sentimenti contrastanti.

La title-track conferma le ottime impressioni e si presenta maggiormente fluida, con il suo incedere misterioso e l’andatura danzante resi da un affascinante tango e dagli inserti ficcanti del violino suonato da Andrea Aloisi.

Anche la seguente “Cecilia” contrappone a un apparato musicale vivace e ondeggiante un testo assai interessante, pieno di chiaroscuri e raffinatezze, tra cui il felice espediente del dialetto, a rendere appassionato e partecipe l’ascoltatore.

Il pathos e il senso di coinvolgimento raggiungono livelli elevati nei due episodi successivi, che mettono in evidenza ancora di più una maturità artistica già ben a fuoco e il desiderio di abbattere steccati, raccontando quindi l’amore secondo diverse sfaccettature, che non sia necessariamente “da cartolina” o che faccia rima con cuore, ma piuttosto quello che porta con se’ anche una scia di dolore spesso irreversibile.

La drammatica storia di Laura, nella paradigmatica “Dueagostomillenovecentottanta”, ne è un fulgido esempio: la data del titolo si riferisce al giorno della strage di Bologna, che mise un punto definitivo su sogni e speranze di vita insieme, spazzati via per sempre.

Il brano si avvale della preziosa collaborazione del quartetto d’archi Khora Quartet e del chitarrista Livio Gianola, che conferiscono ulteriore solennità e spessore a un pezzo del mosaico già particolarmente significativo.

Intense sono pure le liriche di “Amore tossico”, racchiuse in un’atmosfera lunare, spezzate però da un violino che fa felicemente capolino sottolineando quelle parti topiche, in un ragguardevole crescendo emotivo.

La seconda metà del lavoro conferma le buone intenzioni di Chiara, a suo agio nei differenti registri sonori con cui ha scelto di cimentarsi, mostrando segni di grande versatilità e curiosità musicale.

Convincono la varietà degli arrangiamenti, la volontà di affidarsi di volta in volta, a seconda dell’atmosfera evocata, a uno strumento guida, siano i violini più volte citati, il sinuoso pianoforte di Luca Jurman, oppure la valente sezione fiati a far risaltare quelle venature jazzate, ma il tutto è sorretto magicamente dalla protagonista, ogni canzone ci giunge filtrata dalla sua sensibilità e sa donare quel brivido sfuggente di emozione.

In tal senso anche brani molto diversi come “Notte preferita” e “Solo un se” non vanno a scalfire quel senso di omogeneità che pervade l’intero disco, segno di una spiccata personalità della sua autrice, che emerge sempre e comunque.

La prima è una policroma divagazione dal sapore latino-americano, mentre in “Solo un se” l’anima più struggente e romantica prende clamorosamente piega e si dipana in maniera disarmante nei nostri cuori. La tromba del fuoriclasse Fabrizio Bosso contribuisce a rendere indimenticabile questo episodio ma anche l’interpretazione di Chiara è indubbiamente di alta classe.

A chiudere il disco la già nota “Dinosauri”, singolo apprezzato sia per le soluzioni narrative che per la deliziosa melodia, per una sorta di anti-canzone d’amore, topos letterario che a conti fatti si è rivelato vincente, perchè ha saputo rivolgersi a tutti coloro che vivono sulla propria pelle desideri e tormenti, voglia di chiudere una porta dietro di se e di ripartire con nuova spinta e tanto coraggio.

“Indifesi” è un manifesto sincero, puro, che riconcilia con il mondo, oltre che, attenendosi strettamente al versante discografico, un ottimo album d’esordio, in grado di issarsi tra l’altro fino alla cinquina di finalisti delle Targhe Tenco nella rispettiva categoria.

Avendola votata, per un attimo ci ho sperato che un prodotto indipendente di così grande valore potesse sbaragliare una concorrenza dall’artiglieria pesante.

Il riconoscimento alla fine non è arrivato, anzi, ha preso strade (se vogliamo confrontarle) completamente diverse, finendo tra le braccia della giovanissima Madame, esplosa pochi mesi prima al Festival di Sanremo. Se quest’ultima rappresenta senza discussioni il nuovo che avanza, sarebbe importante però che ci fosse il giusto e meritato spazio anche per artisti come ChiaraBlue che, per certi versi, contiene in se già la “classicità” dei grandi.