MARK WINGFIELD & GARY HUSBAND - Tor & Vale
(Moonjune Records, 2019)
Prendi due musicisti jazz, offri loro gli strumenti adeguati e una location a cui non si possa dire di no; a quel punto accendi il mixer, clicca su REC e fai partire lo starter. Quanto uscirà dall’incontro difficilmente deluderà l’appassionato di buona musica.
Più o meno è quanto è accaduto con il chitarrista fusion Mark Wingfield e il pianista Gary Husband, accolti tra le mura di un’antica magione catalana del XII secolo (La Casa Murada) dall’acustica eccezionale.
Entrambi britannici, Wingfield è un chitarrista sui generis, aperto a soluzioni tecniche importate anche da altri generi (dall’elettronica alla World Music) mentre Gary Husband è, in realtà, un polistrumentista di indubbia preparazione e esperienza. Probabilmente molti lo ricorderanno come batterista nei Level 42, ma prima ancora aveva suonato nei dischi di Allan Holdsworth, per poi dare una solida mano ad altri artisti jazz (e) rock (Billy Cobham, Jack Bruce, Gary Moore e John McLaughlin). Dalla fine degli anni Novanta ha rispolverato il suo amore per il pianoforte e si è prodotto lautamente come compositore e interprete per quello strumento, sempre in chiave jazzistica ma con un’attitudine ben collaudata verso altre sensibilità espressive.
Tor & Vale è un particolare cimento che si snoda in maniera assai eterogenea attraverso 8 brani strumentali: 5 sono composizioni complete scritte da Wingfield (Kittiwake, The Golden Thread, Night Song, Tryfan e Vaquita), mentre le restanti tracce (Tor & Vale, Shape of Light e Silver Sky) si palesano come vere e proprie aree aperte alla libera improvvisazione dei due.
Un album difficile, che richiede più di un ascolto e una solerte attenzione ai dettagli. Solo due musicisti, eppure la densità del flusso “scrittorio” che, talvolta, porta gli interpreti ad allontanarsi per poi ricongiungersi, può spiazzare (se non scoraggiare) più di un ascoltatore.
Proviamo, allora, ad intravedere, quei singoli marcatori espressivi che possano aiutarci ad entrare nel disco con maggiore proprietà.
Ad esempio, gli stili: Wingfield è per il fraseggio veloce, ma anche per le atmosfere dilatate, sorrette da immancabili soundscape di natura frippiana (ascoltare Shape of Light). Il pianismo di Husband ama armonizzazioni precise, calzanti e convincenti (un po’ alla Bill Evans, tanto per capirci) ma non esita a irrompere con bordate free dalla struttura atonale, avvalendosi anche delle possibilità dinamiche (e non solo coloristiche) dello strumento.
Paradigmatica in tal senso la title track che, come spiegherebbe la traduzione dall’inglese di “Tor” e “Vale”, sarebbe una sorta di “sali e scendi” sulla partitura e, in effetti, ci sembra proprio di essere su un ottovolante musicale, sbalzati dal jazz alla musica contemporanea.
In questo mare magnum di note in ebollizione, si intravedono mosse di tango stravinskiane (Tryfan), passaggi alla Jarrett (Kittiwake e Vaquita), sviluppi melodici (The Golden Thread) e delicati adagi dissonanti (Night Song fonde Pat Metheny e Alban Berg; Silver Sky affianca accordi bartokiani ad atmosfere davisiane… ah, ci fosse stata anche una tromba).
Il disco vale l’immersione e profonda: portatevi le bombole, perché il boccaglio non basta.
(Riccardo Storti)