Chris Cornell - Higher truth (2015)
Label: Universal
Issued: 2015
Il nuovo album della vanitosa grungestar carismatica come un sarto camiciao esce a sei anni dalla imbarazzante e (forse non soltanto) metaforica rottura della chitarra sulla zuccona rappettona di Dollarone Timbaland. Alchemicamente trainato dalla vocalità abrasiva creata in provetta (chi scrive ha sfortunatamente assistito a certe esibizioni con Soundgarden e Audioslave) dal vecchio volpone Brendan O'Brien, procede lungo linee fintamente acoustic-grunge (per inquadrare ripensate a Fell on black days) ma rimbalzando di fatto dalla landscape-ballad reminescente del Vedder di Into the wild (Dead wishes, Through the window) al finto-intimismo-solo-voce-capelli-lunghi-sgabello-e-chitarra-ma-coi-violini-che-arrivano-a-tradimento-nel-finale di Josephine o Let your eyes wander. Azzeccato il poppettino d'apertura con arrangiamenti soap-indie alla Fool's garden (Nearly forgot my broken heart), pozzangheroso quello Bush/2.0/eggiante in chiusura (Our time in the universe). La baluginante title track, collocata tra uno Steve Winwood di maniera e i Beatles in finale di canzone, è l'ennesima dimostrazione che Cornell avrebbe stoffa da vendere. Da buon sarto, appunto.
Sì però avrei fretta: Higher truth / Worried moon / Nearly forgot my broken heart