Blackfield - Welcome to my DNA (2011)
Label: Kscope
Issued: 2011
La disossiribonucleica Glass houes, in apertura di album, assurge nel prosieguo a concreta testimonianza dell'irreversibile fenomeno di mutazione genetica in corso all'interno della band, con tutto che ne consegue. La de-Stefanerd-izzazione, già silenziosamente iniziata ai tempi di Blackfield II, porta con sé una composizione ulteriormente mellow e discintamente prosaica, in definitiva meno ispirata. Sovente le canzoni emergono dal pelo dell'acqua per la sola punta del naso (cfr. l'aria di chitarra over-the-clouds nella altrimenti dimenticabile Rising of the tide), magari tratte in salvo in extremis da un crescendo splendidamente prodotto (la altrimenti invisibile Dissolving with the night), altre volte sono affondate da orchestrazioni altrettanto prosaiche, funzionali esclusivamente a mascherarne le lacune (la sonnambuliaca Far away). Oppostamente, forse paradossalmente, emerge una certa eterogeneità stilistica aliena ai primi due album (cfr. i Simon & Garfunkel in cabina di pilotaggio di Waving, l'Alan Parsons non-project in mongolfiera di On the plane e quello ossigenato di Oxygen). Anche stavolta non faticherete a Individuare in giro un po' ovunque (ma soprattutto nella sanguigna Blood) le zampette del porcospino. Al di là delle quali, gli unici colpi di scena sono stavolta rappresentati dal vaffanculo in 7/8 di Go to hell, affatto porcupine/sco e ancora meno blackfield/iano, e da ciò che accade da qualche parte all'interno di Zigota, non distante da ciò che accadeva, sette anni prima, alla magnetostatica Glow.
Sì però avrei fretta: Blood / Zigota