AREA – Progressivi di periferia. Un’introduzione

Scritto da: cspigenova

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I contenuti di questo articolo sono in parte tratti dalla relazione presentata da Riccardo Storti in occasione del convegno “Suonare la voce” organizzato dall’Associazione Metrodora e tenutosi a Genova, presso il Teatro del Ponente, il 29, 30 e 31 ottobre 2004, pubblicati in seguito su “ContrAppunti” n° 2 anno II. Revisione del dicembre 2019.

Introduzione. La sperimentazione “eccentrica” a 360°

Se il “centro” è l’establishment discografico, gli Area prediligono la periferia o, utopisticamente, vorrebbero far sì che la “marginalità” della loro musica possa farsi “centro” propulsore di idee. Area si propone come “International Popular Group”, quindi come “area” di lavoro e sperimentazione ad ampio raggio (eccolo il “centro” o il “cerchio”).

Estremismo musicale = Estremismo dei contenuti: le “aree dell’esperienza umana” ci vengono incontro; è sufficiente ascoltare (e leggere) il loro primo disco Arbeit Macht Frei, più che un “prodotto musicale”, un manifesto, anche “iconico”, per nulla “ironico”. Non solo musica ma soprattutto Consapevolezza ai richiami della Storia [Luglio, Agosto, Settembre (Nero)… lo stesso titolo dell’album] e ad una “pedagogia” di difesa dall’alienazione.

Alienazione: discorso caro agli Area con il secondo disco (Caution Radiation Area); su tutti il profetismo mediatico di Lobotomia (sigle televisive distorte dal VCS3) sino alle visioni di un compromesso storico planetario raccontato nell’ultimo disco di Stratos e C., 1978 (il brano è Vodka Cola).

Dal linguaggio delle idee a quello dei “suoni”

Oltre il pop, attraverso le propaggini più estreme del jazz (free), della “classica contemporanea” (avanguardia, serialismo, atonalismo, rumorismo, musica aleatoria) e della musica popolare mediterranea (ethnos vs folklore da cartolina; ritmi “barbari” vs cantabilità di facile ascolto).

Penso dunque s(u)ono: aree di sperimentalismo (ovvero ingredienti del prodotto)

–           Il vocalismo di Stratos

–           Il jazz rock su scale (medio)orientali con ritmi balcanici

–           La musica come happening (La mela di Odessa live in Areazione), collegamento con le esperienze di aleatorietà di Cage (Event ’76)

–           Il rumorismo di sintesi

–           Suonare i tamburi come un jazzista tuareg: il drumming di Capiozzo.

 

(Riccardo Storti – fine prima parte)

 Qui la seconda parte